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Dicono di noi:
Questa recensione si intitola "col cuore in mano" perchè è la più difficile che mi ritrovi a fare da quando uso TripAdvisor.
The Craftsman per tre anni ha rappresentato un unicum a Reggio Emilia: semplicemente non c'era nulla di sbagliato nel vecchio locale di Via del Carbone, dal mobilio, ai piatti e posate, alle divise dei camerieri, al sottofondo musicale, senza parlare dei piatti, della scelta degli ingredienti, dell'impiattamento e della chicca di avere uno stupendo jazz bar al piano di sotto. Il Craftsman era un'esperienza più che una semplice cena e ogni singolo centesimo speso in quel locale aveva un valore. C'era un progetto dietro portato avanti in cucina da chef Trabetti (un fenomento) e al jazz club dai vari sommelier presenti nello staff.
Poi è arrivato il covid, e capisco che nessuno potesse preventivare cosa sarebbe successo tra aperture, chiusure, riaperture, richiusure; capisco anche che le spese per mantenere il vecchio locale di via del carbone fossero ingenti considerando che gli imprenditori della ristorazione non hanno lavorato per mesi, e che quindi si sia dovuto chiudere il locale e spostarsi in piazza Fontanesi; capisco, infine, che terminare il rapporto con chef Trabetti possa essere stato "traumatico" per quanto riguarda la progettualità della cucina.
Capisco tutti questi aspetti che sicuramente non hanno aiutato il ristorante, ma l'esperienza avuta poche settimane fa nel nuovo locale non è giustificata da nessuno di questi punti: il menù è ristretto, e può andare bene, e non è presentato stilisticamente come prima, ma sorvolo. Le mie mazzancolle sembravano sospettosamente "rosa" e molto poco lavorate dal cuoco, sbattute nel piatto alla bell'e meglio e ricoperte da una valanga di salsa aurora; le tartine della mia compagna erano fette di pane "compero" con sopra qualche condimento, senza infamia e senza lode ma che potevo benissimo farmi da solo a casa. Il mio riso, descritto come "al cucchiaio" o qualcosa del genere (ho volutamente dimenticato i particolari della serata) altro non era che basmati insapore (se è basmati scrivere basmati, non riso, perchè poi ci si aspetta un riso tradizionale) con qualche pezzo di pesce dentro, e il sandwich al rosso d'uovo della mia compagna era pane in cassetta (compero) con insalata (compera) formaggio e... senza rosso d'uovo. Il vino almeno era di ottima qualità ma su questo non dubitavo, data l'attività social del ristorante volta a promuovere le migliori marche sul mercato.
in tutto questo scempio, quaranta minuti tra antipasto e primo, e, alla fine dei conti, un conto da 75-80€ in due.
abbiamo lasciato il tavolo, per la prima volta da quando esiste the craftsman (ristorante), volentieri; prima non ci si voleva mai alzare dalla sedia se non per andare al jazz club, in questa occasione invece ce ne siamo andati delusi.
ragazzi, ve lo dico, appunto, col cuore in mano: così non va. trovate un cuoco, rimettetevi in sesto, ritornate alle origini, ritornate a scegliere le materie prime, a sperimentare. Non ci sarà più il jazz club? Amen, me ne farò una ragione. Ma se per quanto riguarda il ristorante questa è la nuova normalità (come purtroppo temo) e non una serata sbagliata, avete perso due clienti che pensano che, se la situazione resterà tale, da baraccone turistico in piazza fontanesi senza pretese di qualità, fareste meglio a cambiare nome al ristorante: il rischio è di rovinare la reputazione del cocktail bar e del ristorante che tanto si era fatto un buon nome nei passati tre anni.
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